domenica 12 settembre 2010

Fuori porta


Ieri ho conosciuto delle persone bellissime: sono mamma, figlia e figlio, fanno i contadini e abitano in un'antica casa colonica alla periferia di Firenze. Della casa se ne hanno notizie fin dal '600: risulta il pagamento della tassa sul macinato. Adesso è ombreggiata dall'alta struttura di un cinema multisala e di un mega albergo. Il terreno di famiglia è stato espropriato perché considerato "di utilità pubblica". Sì, accanto al loro orto ora passa una superstrada che per fortuna, grazie a qualche fortuita circostanza acustica, non fa sentire il rumore continuo del traffico. Ma le macchine ci sono, si vedono.
Poco oltre l'aia svetta un albero piuttosto alto, un acero campestre, piantato lì da qualche nonno all'inizio del secolo scorso. E' una pianta ormai rara, le sue frasche servivano da sostegno alle piantine degli orti; il figlio ci si arrampicava per sfuggire alla scuola e a qualche scapaccione. Adesso è irraggiungibile: è rimasto oltre il recinto, dalla parte del cinema, nel megaparcheggio asfaltato. Lo si può solo vedere. E rimpiangere.
L'orto vicino a casa, ridotto ai minimi termini, adesso ospita solo qualche fila di pomodori, pochi olivi e un fico. I proprietari sono stati costretti a comprare altrove ulteriori appezzamenti se volevano continuare la loro attività.
Ma nonostante tutte le angherie subite, quella gente è allegra; di più, è gioiosa. E generosa, ma in un modo che mette quasi a disagio noi cittadini abituati al mondo limitato del dare-avere.
Ci hanno tagliato grosse fette di prosciutto casalingo, affettato salame, formaggio e pane toscano, sfornato crostate alla marmellata fatta in casa e torte di mele.
E quando abbiamo chiesto perché, ci hanno risposto che lo fanno con chi gli sta simpatico.
Probabilmente le gente del Comune (almeno quello di prima) lì non ci ha mai messo piede.